LAURA SANTINI

Sabrina e l’arte della felicità

Nella mia mente continua a intitolarsi Sabrina e le altre. In vero o dal vero la raccolta di Giuliano Galletta, dalla rubrica Venti Righe, comparsa in prima pagina sul quotidiano ligure Il Secolo XIX dal 2001 al 2005, sulla copertina è Sabrina e l’arte della felicità. Notiziario instabile di un cronista di provincia (Il Melangolo, 2006, 12 Eu). Lettura spassosa anche per la natura episodica con cui si propone, questa raccolta recupera tutto il gusto della battuta sagace, la forza di una striscia fumettistica fatta di sole parole che, come scrive Giorgio Bertone nella prefazione, «si rivoltano contro tutto il resto istituzionalmente limistrofo, còntrano articoli e articolesse ben classificati, gerarchizzati … e lo mandano a farsi benedire». Insomma, ognuna delle venti righe stona con tutta quell’informazione paludata, pedante e prolissa. Si accaparra quel massimo dell’attenzione possibile che la mente mattutina consente all’umano per orientarsi nel conflittuale mondo dell’informazione. Alta e apprezzabile la dose di autoironia.
Galletta ne ha selezionate un corposo numero, in un agevole volumetto che finisce per raccontare più di quanto sia ragionevole ipotizzare a partire dalle venti righe disponibili. In quella piccola stanza-osservatorio l’autore ha concentrato informazioni e commenti, notizie di servizio e report da cittadino comune, seminato spunti per riflessioni più ampie, parodiato in largo e in lungo e espresso giudizi critici sull’economia, la politica, i culti religiosi senza lesinare osservazioni sui costumi o comportamenti sociali dell’oggi che vanno dal divorzio via SMS diffuso in molti paesi arabi (Talaq, talaq, talaq) fino all’ombellico in bella mostra delle sedicenni (in La vita? Bassissima). La svolta sta nel mettersi in gioco e qui Galletta non si tira affatto indietro. Senza paura dell’io espresso senza remore, per esempio tratta del rincaro dell’euro di cui tante righe si sono sparse sulla stampa virando comicamente su Il caro delle caldarroste: affondo stagionale, ma anche discesa amichevole di chi scrive tra chi legge. Dal lato creativo, da questi commenti d’autore sulla varia attualità, scopriamo Galletta nella veste di assiduo navigatore della rete, più spesso anglofilo nell’uso non solo delle fonti ma anche in generale dei riferimenti culturali, che predilige tra la stampa straniera quella che usa la parola tempo nel titolo, tra cui il New York Times, il quotidiano inglese The Times, il Los Angeles Times e il settimanale Time. Dotato di un bagaglio culturale vastissimo – o di grande abilità enciclopedica – l’autore si permette di spaziare nelle citazioni tra le parole di Lewis Carroll, Ennio Flaiano, Naomi Klein, Goethe, Gilberto Govi, Montaigne, Robert Louis Stevenson fino al Barbiere di Siviglia (per citarne solo alcuni), mostrando ancora una volta qualche passione personale quando chiama in causa Bertrand Russell più di una volta o rimanda una volta ancora a qualcuna delle pellicole di Elio Petri.
Tra le molteplici tematiche affrontate, spicca una decisa inclinazione per il tema della morte. Già fil rouge del lato artistico di Galletta, il trapasso nelle “Venti righe” è declinato nelle sue mille possibili sfaccettature, ma soprattutto è intorno ad alcune scelte postume, necrologi che si fanno ritratto con verve, che si sofferma l’autore, mettendo in luce originalità e coerenza di chi anche post-mortem vuol essere se stesso con brio. È il caso de Il bel funerale, dove si dice della scelta di Fosco Maraini, scrittore, antropologo e orientalista per una cerimonia laica spiegata agli amici in una lettera distribuita al suo funerale. Oppure, dall’Inghilterra, in Ceneri da sparo, l’esilarante soluzione di una signora inglese che è riuscita a inserire le ceneri del marito in una partita di cartucce per una battuta di caccia e ha così sparato-dopo-morto il consorte, con lauto bottino, tra cui una settantina di starne.
Oppure de La classe operaia va al cimitero, dove si fa il punto sulla questione sociale dei decessi a partire da uno studio «su un gruppo di seicentomila persone» che «stabilisce uno stretto rapporto tra condizione socio-economica e mortalità». Per fortuna si parla solo di maschi e poi è del 2002. Ottimo pamphlet da paletòt da tirare fuori come scacciapensieri o nei momenti bui, alla ricerca sì “del tempo perduto”, ma anche del suggerimento in-mediato su l’uso proprio dell’arma critica, buona per qualsiasi argomento. Con cautela.

MENTELOCALE, 7 NOVEMBRE 2006